Capitolo 4: Dai 24 ai 29 anni

 

 


A 24 anni: 1911


Marzo 1911 Guerra spietata

19 marzo 1911, in una lettera a Padre Benedetto: "Il demonio continua a muovermi guerra e sventuratamente non accenna a darsi per vinto." (Epistolario I, 215)

 

 29 marzo 1911, in un'altra lettera a Padre Benedetto: "In questi giorni poi il diavolo me ne fa di tutti i colori e specie, e me ne va dicendo quanto più ne può." (Epistolario I, 216)

Settembre 1911 Le stimmate

L’8 settembre 1911 Padre Pio scriveva a P. Benedetto: “... Ieri sera in mezzo alla palma delle mani è apparso un pò di rosso quasi quanto la forma di un centesimo, accompagnato da un forte e acuto dolore in mezzo a quel pò di rosso.... Anche sotto i piedi avverto un pò di dolore... Questo fenomeno è quasi da un anno che si va ripetendo... Era da un pezzo che non si ripeteva.. Non s’inquieti però se adesso per la prima volta glielo dico; perchè mi sono fatto vincere sempre da quella maledetta vergogna... Anche adesso se sapesse quanta violenza ho dovuto farmi per dirglielo!...” (Epistolario I, pag. 234)

 

La moneta da un centesimo del 1910 aveva il diametro di 15,1 millimetri

 

 

Settembre 1911 Fuori o dentro il convento?

 

Il 13 settembre 1911 P. Benedetto scrive di Padre Pio al ministro generale dell’Ordine: “... Un giovane sacerdote di angelici costumi... chiese di partecipare ai dolori del Salvatore e fu esaudito in modo ineffabile... Il Signore gli ha donato il suggello della sua predilezione, facendogli sentire sulle mani e sui piedi acuti dolori su centro di certe piaghe rosse e visibili, comparse in quelle estremità.... Si sospettò che fosse affetto da tisi e i medici gli ordinarono di respirare aria nativa... Mandato a respirare aria nativa per tre volte fu chiamato in qualcuno dei nostri conventi e per altrettante volte  dovette uscirne suo malgrado e per ordine dei medici. Trovasi ancora fuori... vorrei chiamarlo nel chiostro in tutti i modi e insorge lo scrupolo che ciò sia colpevole. Lei che ne dice? ” (Mischitelli 70-1, nota 12)

 

 

Settembre 1911 Non dire niente a nessuno delle stimmate

 

Il 29 settembre 1911 P. Benedetto a P. Pio, in risposta della lettera dell'8 settembre: “Ringrazia la divina bontà... L’unica raccomandazione che ti debbo fare in tale proposito è di non manifestare niente a nessuno perchè: secretum regis abscondere bonum est”. (Epistolaro I, 237)

 

Nella stessa lettera: “... Ripeto che la tua permanenza in famiglia mi addolora assai... Credo che il tuo dimorare fuori del chiostro non abba più scopo perchè si vede che anche costì non migliori. (Epistolario I, 237-8).

Ottobre 1911 Dr. Prof. Antonio Cardarelli: Padre Pio morirà entro un mese

Il 13 ottobre 1911, padre Benedetto, che  aveva deciso di sapere di più sullo stato di salute di Padre Pio, e voleva il parere di un luminare medico di indubbia fama, scrisse a Padre Pio:   «Credo opportuno che andiate a Napoli e vi fermiate, almeno provvisoriamente, a Morcone, ove spero di abbracciarvi».   

Egli  dispose che Padre Pio fosse accompagnato a Napoli da padre Ignazio da Jelsi, superiore del convento di Morcone, per una visita medica. Tuttavia, il 19 ottobre 1911, incontrato Padre Pio nel convento di Morcone, volle accompagnarlo lui stesso a Napoli. Lo portò dal celebre clinico prof. Antonio Cardarelli, in via S. Maria di Costantinopoli 33.

Il famoso medico, visitato il paziente, previde per lui la morte entro un mese, consigliando quindi che fosse portato nel convento meno lontano. (Gennaro Preziuso, Padre Pio Soldato, Edizioni Padre Pio, San Giovanni Rotondo, 1996, pag.8)

  Il dr. Cardarelli era un famoso professore di Patologia Clinica all'Universita' di Napoli

Ottobre 1911 Foto ricordo

 

Prima di lasciare Napoli, padre Benedetto, certo che ormai Padre Pio avesse poco da vivere, lo portò dal fotografo Nicola Germoglio, in via Monteoliveto 40, per avere una sua foto da conservare come ricordo. (Preziuso, 8)

 

 Dopo la visita col prof. Antonio Cardarelli, prima di lasciare Napoli, Padre Benedetto, certo che ormai Padre Pio avesse poco da vivere, lo portò dal fotografo Nicola Germoglio, in via Monteoliveto 40, per avere una sua foto da conservare come ricordo.

 

 

 

 

Ottobre 1911 Pompei

 

Quella sera i due frati dormirono in un albergo e, il mattino dopo, si recarono a Pompei per visitare la Madonna del Rosario. Celebrarono entrambi e l’uno servì la Messa all’altro. Al ristorante, Padre Pio vomitò quel poco che aveva mangiato.








28 ottobre 1911: Venafro

 

 

Dal 28 ottobre al 7 dicembre 1911 Padre Pio fu ospite del convento di Venafro. Egli fu ivi trasferito seguendo la disposizione del prof. Cardarelli.

Durante questo tempo egli cercò di partecipare alle attivita' comuni, ma gli fu impossibile. Egli era incapace di ritenere alcun cibo, e visse solo con la comunione quotidiana per due settimane.

 

Il superiore Padre Evangelista lo porto' di nuovo a Napoli per essere visitato da un altro specialista, ma la visita fu apparentemente inutile, dato che Padre Evangelista notò: "Questi medici capiscono molto poco." E Padre Agostino: "Tutta la cosa continuava a essere un mistero." (Ruffin, True story, 83-4) (Agostino, Diario, 29)

Il convento di San Nicandro a Venafro ai tempi di Padre Pio.

 

 

 

 

 

Altri medici a Venafro

Rientrato a Venafro, le sue condizioni peggiorarono ancora. Fu visitato dal dott. Giuseppe De Vincenzi, nipote del prof. Cardarelli, e dal dott. Nicola Lombardi.

 

Il dott. De Vincenzi pose diagnosi di tubercolosi polmonare e consigliò di farlo tornare al suo paese natio. Il dott. Lombardi, dopo averlo visitato, escluse «un’affezione specifica dei polmoni» e concluse: «giudicai trattarsi di un disturbo nella sfera nervosa. Consigliai mandarlo nella casa paterna». Quindi, i due medici, pur non concordando sulla diagnosi, consigliarono entrambi di far rientrare Padre Pio nella casa paterna.


 

 

     

La cella di Padre Pio a Venafro

 

 

Novembre e Dicembre 1911 Visioni celestiali e diaboliche


Nel novembre e dicembre 1911, durante la permanenza a letto di Padre Pio malato, Padre Agostino si accorse che Padre Pio andava in estasi due tre volte al giorno. In sette di queste occasioni egli trascrisse su un quaderno con una matita tutto quello che Padre Pio diceva. Questi incontri celesti, in cui Padre Pio conversava con Gesu', Maria, e il suo angelo custode, erano abitualmente seguite o precedute da apparizioni e assalti del diavolo.

 

I colloqui divini erano abitualmente più lunghi delle visite infernali, abitualmente tra mezz'ora e quarantacinque minuti. Le visioni diaboliche duravano meno di quindici minuti. Tutto quello che Padre Agostino scrisse, è stato pubblicato nel suo "Diario". La prima notazione è del "28 novembre 1911, dalle ore 9 3/4 alle 11 antimeridiane."(Agostino, Diario, pag. 31) (Ruffin, True story, 85)

 

 

29 novembre e 3 dicembre 1911: dr. Nicola Lombardi

Il medico dei frati di Venafro, dr. Nicola Lombardi, assistette due volte alle "estasi" di Padre Pio. La prima volta il 29 novembre per pochi minuti, la seconda il 3 dicembre per circa mezz'ora. Egli lasciò una dichiarazione scritta. "Si udiva solo la voce di Padre Pio e non quella dei suoi interlocutori." ...

"I battiti del cuore non sono sincroni con quelli del polso. ...Il dottore , vedendolo con gli occhi aperti, fissi in alto senza mai battere palpebre, accese un cerino e glielo tenne fermo dinanzi alla pupilla. Padre Pio non avvertiva nulla.... "

 

"Siccome dopo l'estasi il santo figliuolo rimaneva addormentato e solo si svegliava dopo parecchio tempo o subito a un precetto di obbedienza, allora il superiore dinanzi al medico lo chiamò a voce bassa fuori della stanza, in modo che chi vi era dentro non sentì nulla e Padre Pio tosto si svegliò dicendo: "Chi è?" Il medico si meravigliò anche di questo fenomeno. (P. Agostino, Diario, 55-6 e 269-71) (Mischitelli, 99-100)

 

 

             
Panorama di Venafro, la chiesa di San Nicandro, il convento, mappa dell'area

             

            
Esterno e interno dalla chiesa di San Nicandro e convento dei Cappuccini a Venafro, monumento a Padre Pio e museo.

 

 

Tornare a casa sua?

 

3 dicembre 1911:  P. Evangelista scrive una lettera al ministro generale

Padre Evangelista, preso atto di quanto consigliato dai due medici, e vedendo che Padre Pio peggiorava di giorno in giorno, chiese al Provinciale di farlo rientrare a Pietrelcina. Non avendo ricevuto risposta, il 3 dicembre 1911 scrisse al Ministro Generale dell’Ordine: «Ormai da tre anni ammalato, non può ritenere nessun cibo nello stomaco, eccetto nella propria patria. Per quasi due anni ha respirato l’aria nativa e là non ha mai sofferto il vomito, mentre ogni qualvolta è andato in un convento, anche per un giorno, ha dovuto soggiacere a gravi dolori, specialmente al vomito. È un mese e mezzo che è qui e posso dire sinceramente che non ha mai ritenuto il cibo per un quarto d’ora: da 16 o 17 giorni poi trovasi a letto e non ritiene neanche un cucchiaino d’acqua. [...] Sarà volontà di Dio che questo povero Padre debba star sempre a casa sua? Tutti attestano che egli è un ottimo sacerdote, quindi neppure per ombra desidera di stare a casa, né noi suoi confratelli vorremmo privarci della sua presenza tanto cara».

 

Torna a casa sua.

 

7 dicembre 1911: ritorno a Pietrelcina in grave stato di salute

Padre Benedetto, pur rammaricato per l’interessamento che era stato chiesto a Roma, il 4 dicembre diede direttamente a padre Agostino il permesso di accompagnare Padre Pio a Pietrelcina. E così, finalmente, il 7 dicembre, Padre Pio, in grave stato di salute, venne rimandato a Pietrelcina, accompagnato da padre Agostino, il quale certamente non poteva dimenticare, nella circostanza, le parole pronunciate dal Padre a Venafro durante una delle sue estasi: «Gesù mio, in questa maniera non si può più andare avanti... Gesù, come là posso dir la Messa e qua no?... Perché a Pietrelcina sì e qua no?... Ma Gesù mio, aiutami... E quale sarà il segno che mi vuoi là?... Dirò la Messa!... Ebbene, Gesù mio, sii ringraziato!...»

 

 

Dicembre 1911 Guarigione improvvisa

 

8 dicembre 1911: canta messa a Pietrelcina in buona salute.

E quel «segno» Gesù glielo diede. Partito moribondo da Venafro, giunto a casa, si ristabilì con tale straordinaria rapidità da potere celebrare, il giorno dopo l’arrivo, la Messa solenne della festa dell’Immacolata.

 

Nel Diario di padre Agostino si legge: «L’8 potette cantar la Messa, assistito da me e dall’arciprete Pannullo come se nulla avesse sofferto». Padre Agostino, dopo 4 giorni, lo lasciò che non mostrava traccia di quanto aveva sofferto a Venafro. (Giannuzzo, pag. 73-77) (Diario di Padre Agostino, 30-39, e 277).

 
Padre Agostino nota al proposito "Certo la malattia era misteriosa, come misteriosa era la permanenza a Pietrelcina. Un giorno da me interrogato, Padre Pio rispose: "Padre, non posso dire la ragione per cui il Signore m'ha voluto a Pietrelcina: mancherei di carità". (Agostino, Diario, 277)

 

 
A 25 anni: 1912

1912-1916 Stanza di Padre Pio

Siccome diventava sempre più difficile per Padre Pio salire gli alti e ripidi scalini per raggiungere la stanza della "Torretta", egli si sposto a vivere nella stanza al piano superiore della casa del fratello Michele, dato che al tempo egli era emigrato in America.

 

    

Stanza di Padre Pio nella casa del fratello Michele

 

 

Stimmate

 

Padre Pio scrive il 21 marzo 1912: "Dal giovedì sera fino al sabato, come anche il martedì, è una tragedia dolorosa per me. Il cuore, le mani e i piedi sembra che siano trapassati da una spada; tanto è il dolore che ne sento." (Epistolario I, 267)

 

 

Assalti diabolici

 

21 marzo 1912: "Il demonio intanto non cessa di apparirmi sotto le sue orride forme e di percuotermi in modo veramente spaventevole." (Epistolario I, 267)

 

Lettera del 28 giugno 1912 a Padre Agostino. «L’altra notte la passai malissimo: quel cosaccio da verso le dieci, che mi misi a letto, fino alle cinque della mattina, non fece altro che picchiarmi continuamente. Molte furono le diaboliche suggestioni che mi poneva davanti alla mente: pensieri di disperazione, di sfiducia verso Dio; ma viva Gesù, poiché io mi schernii col ripetere a Gesù: vulnera tua merita mea. Credevo proprio che fosse quella propriamente l’ultima notte di mia esistenza; o, anche non morendo, perdere la ragione. Ma sia benedetto Gesù, che niente di ciò si avverò. Alle cinque del mattino, allorché quel cosaccio andò via, un freddo s’impossessò di tutta la mia persona da farmi tremare da capo a piedi, come una canna esposta ad un impetuosissimo vento. Dirò un paio di ore. Andai del sangue per la bocca». (Epistolario I, p. 292)


 

Facoltà di confessare negata

 

2 marzo 1912, Padre Pio scrive a Padre Benedetto: “Vengo a chiedervi nuovamente l’autorizzazione della confessione almeno degli uomini.” (Epistolario I, 261-2)

 

4 marzo 1912, Padre Benedetto risponde a Padre Pio: “Non posso concedervi la facoltà chiesta. Non solo per la malferma salute ma anche debbo essere certo della necessaria capacità scientifica. Rassegnatevi dunque.” (Epistolario I, 263)

 

Con l’ordinazione sacerdotale il 10 Agosto 1910, Padre Pio non ricevette il permesso di confessare. Padre Pio implorò il Padre provinciale Padre Benedetto insistentemente di dargli  facoltà di confessare. Dall’aprile 1911 all’aprile 1913 gli scrisse ben 18 lettere a tale scopo. La risposta era sempre negativa. I motivi addotti erano la salute fisica e l’incertezza sulla sufficiente conoscenza della teologia morale, per non aver seguito regolarmente lo studio per motivi di salute. (Epistolario I, 221, 263, 348). (Fernando, da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina Crocifisso senza croce, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, ristampa 2010, pagg. 225-6)

 

 

 

 

Stimmate

 

21 marzo 1912, Padre Pio a Padre Agostino: “Dal giovedì sera fino al sabato, come anche il martedì, il cuore, le mani ed i piedi sembrano che siano trapassati da una spada: tanto è il dolore che ne sento.” (Epistolario I, 267)




Messa votiva della Madonna, rosario invece dell'Ufficio Divino

La vista di Padre Pio cominciò a deteriorare. Durante gran parte del 1912 egli ebbe difficoltà a leggere e scrivere. Dir messa costituiva un vero problema perché' ogni giorno c'erano dei "Propri" differenti, con letture e preghiere ogni giorno diverse. E tutto questo era quasi impossibile da memorizzare.

Padre Pio cercò di ovviare alla difficoltà tenendo una lampada sempre vicino al messale. Fu così che i suoi superiori cercarono di aiutarlo esponendo il suo caso al Vaticano.

Il 21 marzo 1912 Padre Pio ottenne un decreto dalla Sacra Congregazione dei Religiosi, #1444/12, nel quale gli si dava la facoltà di celebrare la Messa Votiva della Madonna nei giorni festivi, e la Messa per i Defunti nei giorni feriali.

La facoltà era per tre anni rinnovabile. Per la stessa ragione con lo stesso decreto ricevette il permesso di recitare ogni giorno quindici poste di rosario invece dell'Ufficio Divino.
(Agostino, Diario, nota 50 a pag. 62)




Fusione dei cuori.

18 aprile 1912, Padre Pio scrive a Padre Agostino: "Finita la messa, mi trattenni con Gesù pel rendimento di grazie. Oh quanto fu soave il colloquio tenuto col paradiso questa mattina!

Vi furono cose che non possono tradursi in un linguaggio umano, senza perdere il loro senso profondo e celeste.

Il cuore di Gesù ed il mio, permettetemi l'espressione, si fusero.

Non erano più due cuori che battevano, ma uno solo. Il mio cuore era scomparso, come una goccia d'acqua che si smarrisce in un mare."
(Epistolario I, 273)



Tubercolosi

L'arciprete Pannullo amava Padre Pio come un figlio. Eppure, Padre Pio non era ben accetto a casa di Pannullo.

L'arciprete viveva con suo fratello e le sue tre figlie, Antonietta, Rosina, e Grazia. La piu' grande, Antonietta, era sposata e aveva bambini che vivevano li'. Lei aveva Paura che Padre Pio avesse la tubercolosi e poteva infettare i suoi bambini.

Ogni volta che Padre Pio venne in casa per parlare con l'arciprete, le tre sorelle non parlavano con Padre Pio per paura di essere infettate. Lo fecero sedere sempre sulla stessa sedia, e doveva bere sempre dalla stezza tazza che avevano messo da parte per essere usata da lui esclusivamente.

Una sera Antonietta fece soffrire a Padre Pio una terribile umiliazione quando l'arcivescovo di Benevento venne a visitare Pannullo. L'arcivescovo Schinosi invitò Padre Pio a fermarsi a cena con loro. Antonietta si arrabbiò assai con lo zio. Lo zio spiegò la cosa all'arcivescovo, e Mons. Schinosi dovette dire a Padre Pio di tornarsene a casa. 
(Ruffin, The true story, 96)

L'altra nipote Rosina, provò orrore che Padre Pio usava gli stessi vestimenti, calice, e patena degli altri preti.

Ordino' allo zio arciprete di procurare vestimenti diversi, e anche un calice a una patena diversi, da dover essere usati da Padre Pio.

Un giorno il sacrestano Michele Pilla si ubriacò e dimenticò di cambiare il calice. Rosina, nel bel mezzo della messa chiamò il sacrestano e gli fece cambiare il calice immediatamente. Il sacrestano, davanti a tutti i fedeli, interruppe la messa e cambiò il calice. Padre Pio si sentì  umiliato.

Quella sera riferì il fatto a don Salvatore e gli comunicò: "Oggi il Signore mi ha fatto la grazia di sapere che la mia malattia non è contagiosa." Don Pannullo lo riferì alla nipote Antonietta, e quella ci credette senza discutere. Da quel momento Padre Pio fu ben accetto a casa Pannullo.
(Lino Barbati, padre Alessandro, Beata te Pietrelcina, 133-134) (Ruffin, The true, 96-7)
 

Nella lettera a Padre Agostino del 1 maggio 1912, Padre Pio scriveva: "Mi sembra di non aver più madre sulla terra". Questa affermazione probabilmente  si riferisce alle insistenza della mamma, che vedendolo soffrire cosi, lo pregava di lasciare l'ascetico rigore dell'ordine cappuccino, e diventare prete secolare: "Con la tua povera salute come puoi stare in un monastero con monaci? Caro mio, io piango per te."
(Epistolario I, 276) (Ruffin, The true story, 95)
 
 

1912  L'angelo custode traduce francese e greco

 

L’Angelo custode è “maestro nella spiega di altre lingue”.  Lettera a Padre Agostino, 20 settembre 1912: “I celesti personaggi non cessano di visitarmi e farmi pregustare l’ebbrezza dei beati. E se la missione del nostro angelo custode è grande, quella del mio è di certo più grande dovendomi fare anche da maestro nella spiega di altre lingue.” (Epistolario I, 304)

 

 

Padre Pio non aveva studiato lingue straniere, però le capiva. Non aveva studiato il francese, ma lo scriveva. Alla domanda del suo direttore, padre Agostino, su chi gli avesse insegnato il francese, Padre Pio rispose: “Se la missione dell’Angelo custode è grande, quella del mio è ancor più grande, dovendomi fare anche da maestro nella spiegazione di altre lingue”. (Positio III/1, p. 809)  (Peña, Padre Ángel, O.A.R.,  San Pio da Pietrelcina e il suo angelo custode, Parroquia de la caridad,  Lima, Peru', pag. 34) 

 

Padre Agostino scrisse nel suo Diario: “Padre Pio non sapeva né il francese né il greco. Il suo angelo custode gli spiegava tutto e il padre rispondeva bene. L’aiuto di questo singolare maestro era tanto efficace che poteva scrivere in lingue straniere. Tra le sue lettere scritte ce ne sono alcune che, almeno in parte, furono scritte in francese”. (Padre Alessio Parente, "Mandami il tuo angelo custode", Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo, 2011, pag. 65)

 

L’ Arciprete Pannullo e la lettera in greco.

Il 7 settembre 1912, per valutare la santita' di Padre Pio,  Padre Agostino mando' una lettera a Padre Pio scritta in greco. Tra l'altro la lettera diceva: "Cosa dira' il tuo angelo di questa lettera? Se Dio vuole il tuo angelo potrebbe fartela comprendere; se no, scrivimi. "

 

In calce alla lettera il parroco di Pietrelcina scrisse questo attestato; Pietrelcina 25 agosto 1919. Attesto io qui sottoscritto sotto la santita' del giuramento che Padre Pio, dopo ricevuta la presente, me ne spiego' interamente il contenuto. Interrogato da me come avesse potuto leggerla e spiegarla , non conoscendo neppure l'alfabeto greco, mi rispose: "Lo sapete! L'angelo custode mi ha spiegato tutto. L'Arciprete Salvatore Pannullo."   (Epistolario I, 302, con note 1 e 2)  (Padre Alessio Parente, "Mandami il tuo angelo custode", Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo, 2011, pag. 63)

 

 

 

Lettera in greco 

 

 

 

L'Arciprete Salvatore Pannullo che scrisse l'attestato

 

27 novembre 1912
Dalla lettera a Padre Agostino del 3 dicembre 1912: "Vi do poi una consolante notizia: il 27 del mese scorso fecero ritorno dall'America mio padre e mio fratello e si trovano in buona salute." (Epist. I, 318)

 

 

1912  Il diavolo fa il diavolo

 

In una lettera da Foggia a Padre Agostino il 18 gennaio 1912: "Barbablù non si vuole dare per vinto. Ha preso quasi tutte le forme. Da vari giorni in quà mi viene a visitare assieme con altri suoi satelliti armati di bastoni e di ordigni di ferro e quello che è peggio sotto le proprie forme. Chi sa quante volte mi ha gittato dal letto trascinandomi per la stanza." (Epistolario I, 252)

 

Braccio paralizzato

Da Pietrelcina a Padre Agostino il 9 agosto 1912: "Barbablù mi ha impedito di scrivervi. Ogni volta che mi determinavo a scrivervi ecco che un fortissimo dolore di testa mia assaliva, accompagnato da un acuto dolore al braccio destro, impossibilitandomi a tenere la penna in mano." (Epistolario I, 297)

 

 

 

 

A 26 anni: 1913
 
   
Via Gregaria a Pietrelcina  
  
Convento e chiesa a Pietrelcina

Un giorno, circa il 191
3, da giovane sacerdote, Padre Pio faceva quattro passi lungo la periferia del paese di Pietrelcina con l’arciprete Salvatore Pannullo e don Giuseppe Orlando.

Giunti in zona Gregaria Padre Pio si fermò e, tendendo l’orecchio disse all’arciprete: “Zi’ Tore, che odore di incenso! Che canto di angeli! Che suono di campane a distesa. Non senti niente?” Don Salvatore, sbalordito, rispose: “Piuccio sei impazzito o stai sognando? Qui non si sente nè odore di incenso, nè canto di angeli!” Ma Padre Pio: “Un giorno qui sorgerà un convento di frati con una chiesa: si innalzerà al Signore l’incenso della preghiera e il canto della lode.”

Il grande convento fu inaugurato il 6 luglio 1947. La chiesa fu consacrata il 19 maggio 1951. (P. Pio Capuano, Con P. Pio: come in una fiaba, tra sogno e realtà, Grafiche Grilli, Foggia, 2012, pag. 305-7)

 
Il convento di Pietrlcina in avanzata fase di costruzione


 
 

La chiesa annessa al convento dei cappuccini a Pietrelcina quasi completata




Diavoli in azione: tutto per aria

Da una lettera da Pietrelcina a Padre Agostino  il 18 gennaio 1913: "Era gia' notte avanzata, e quegli impuri apostati incominciarono il loro assalto con un rumore indiavolato... Ed allorchè videro andare in fumo i loro sforzi, mi si avventarono addosso, mi gittarono a terra, e mi bussarono forte forte, buttando per aria guanciali, libri, sedie, emettendo in pari tempo gridi disperati e pronunziando parole estremamente sporche." (Epistolario I, 330)

 

Tutto ammaccato per le percosse

Lettera da Pietrelcina per Padre Agostino il 13 febbraio 1913: "Gesù non cessa di farmi affliggere da quei brutti ceffoni. Oramai sono sonati ventidue giorni continui che Gesù permette a costoro di sfogare la loro ira su di me. Il mio corpo, padre mio, è tutto ammaccato per le tante percosse che ha contato fino al presente per mano dei nostri nemici." (Epistolario, I, 338)

 

Gesù consola

13 febbraio 1913: ""Gesù mi va ripetendo non temere, io ti farò soffrire, ma te ne darò anche la forza. Desidero che l'anima tua con quotidiano ed occulto martirio sia purificata e provata. Niente prevarra' contro coloro che gemono sotto la croce per amor mio e che io mi sono adoperato per proteggerli." (Epistolario I, 339)

 

 12 marzo 1913: "Figlio mio, soggiunse Gesù, ho bisogno delle vittime per calmare l'ira giusta e divina del Padre mio; rinnovami il sacrificio di tutto te stesso e fallo senza riservatezza alcuna." (Epistolario I, 343)

 

 

 

“Gesù mi mostrò i sacerdoti.”   “I segreti del re.”

 

A P. Agostino, da Pietrelcina il 7 aprile 1913: “Venerdì mattina ero ancora a letto quando mi apparve Gesù. Era tutto malconcio e sfigurato.

 

Egli mi mostrò una grande moltitudine di sacerdoti regolari e secolari, fra i quali diversi dignitari ecclesiastici; di questi, chi stava celebrando, chi si stava parando, e chi si stava svestendo delle sacre vesti.

 

La vista di Gesù in angustie mi dava molta pena, perciò volli domandargli perchè soffrisse tanto. Nessuna risposta n’ebbi. Però il suo sguardo si riportò verso quei sacerdoti; ma poco dopo, quasi inorridito e come se fosse stanco di guardare, ritirò lo sguardo ed allorchè lo rialzò verso di me, con grande mio orrore, osservai due lagrime che gli solcavano le gote.

 

Si allontanò da quella turba di sacerdoti con una grande espressione di disgusto sul volto, gridando: “Macellai!”. E rivolto a me disse: “Figlio mio, non credere che la mia agonia sia stata di tre ore, no; io sarò per cagione delle anime da me più beneficiate, in agonia sino alla fino del mondo. Durante il tempo della mia agonia, figlio mio, non bisogna dormire.

 

L’anima mia va in cerca di qualche goccia di pietà umana, ma ohimé mi lasciano solo sotto il peso della indifferenza. L’ingratitudine ed il sonno dei miei ministri mi rendono più gravosa l’agonia. Ohimé come corrispondono male al mio amore! Ciò che più mi affligge è che costoro al loro indifferentismo, aggiungono il loro disprezzo, l’incredulità.

 

Quante volte ero lì per fulminarli, se non ne fossi stato trattenuto dagli angioli e dalle anime di me innamorate... Scrivi al padre tuo e narragli ciò che hai visto ed hai sentito da me questa mattina.” Gesù continuò ancora, ma quello che disse non potrò giammai rivelarlo a creatura alcuna in questo mondo.” (Epistolario I, 350-1)

 

 

I cosacci gli tolgono la camicia e lo percuotono

 

A Padre Benedetto l'8 aprile 1913 da Pietrelcina: "Quei cosacci non cessano di percuotermi e di sbalzarmi alle volte anche dal letto, giungendo fino a togliermi la camicia e percuotendomi in tale stato." (Epistolario, I, 353)



Martirio
Giugno 1913: "Il Signore comunica all'anima mia, e con una chiarezza tale che io non so ritrarla in scritto, mi fa vedere come in uno specchio tutta la mia vita futura non essere altro che un martirio." (Epistolario I, 368)
 

 

A 27 anni: 1914
 
 
 
 
Maggio 1914: riceve facoltà di confessare


Padre Pio, pur essendo stato ordinato, nel 1910, sacerdote «con la facoltà di confessare», non poteva ancora esercitare tale facoltà.

Per confessare aveva bisogno del permesso del Padre Provinciale Padre Benedetto. Ma Padre Benedetto insisteva nel negargli in permesso.

Scrivendo il 13 febbraio 1913 a padre Agostino, Padre Pio concluse la sua lettera chiedendo il suo interessamento:  «Recandovi a San Marco siete pregato di ossequiarmi il Padre provinciale. Desidero pure che gli diciate ancora se vuole autorizzarmi alla confessione.

Son quasi certo di fare un buco nell’acqua, ma io non posso soffocare in me questa voce misteriosa. Sono disposto a tutti i voleri del superiore ed un rifiuto di più per me equivale a una maggiore rassegnazione.»
(Epistolario I,  339-40)

Dall’aprile 1911 all’aprile 1913 gli scrisse ben 18 lettere a tale scopo. La risposta era sempre negativa.

Padre Benedetto, pressato da tanta insistenza, decise finalmente di fargli conoscere i veri motivi della mancata autorizzazione.

Gli inviò una lettera in cui si legge: «Io non posso darti la facoltà di confessare perché ignoro la tua capacità scientifica nella teologia morale. Vedi di sostenere un qualche esame alla Curia e dopo vedrò quel che sarà meglio nel Signore.

L’altra ragione della mia ritrosia sta nel temere che questo ministero ti abbia a nuocere perché sei sofferente di petto. Ma se avrò qualche prova della idoneità dottrinale, ti autorizzerò almeno per gli infermi, come mi chiedi. »
(Epistolario I, 348)




Padre Pio ricevette la facolta' di ascoltare le confessioni sacramentali nel maggio del 1914.
(Capuano, Con p. Pio, 13)


Confessionale di Padre Pio nella chiesa di Santa Maria degli Angeli in Pietrelcina
 
 
.Padre Pio rivela una visione celeste

“Pastorello introdotto nel palazzo reale” “I segreti del re.”

 

Il 26 marzo  Pio spiega in una lettera a Padre Benedetto come è difficile esprimere in parole quello che il Signore gli fa vedere della “celeste patria.”

 

"E’ come se un povero pastorello viene introdotto nelle stanze del palazzo reale, dove un finimondo di oggetti preziosi vi sono collocati e che lui non ha mai visto.

 

Il pastorello, uscito fuori, avrà certamente dinanzi agli occhi della mente tutti quegli oggetti vari, preziosi e belli, ma non saprà certamente nè indicarne il numero, né assegnare loro il vero proprio nome.

 

Egli desidererebbe parlare con gli altri di tutto ciò che ha visto, ma vedendo poi che tutti i suoi sforzi non riuscirebbero a farsi intendere, preferisce meglio il tacere.

 

Questo è quello che accade all’anima mia. Tutte quelle cose straordinarie lungi dall’essere cessate, si vanno sempre più rendendo elevate.” (Epistolario I, 462)

 

 
 
Il dramma di continuare a risiedere a Pietrelcina, fuori del convento

Tutto era cominciato subito dopo la prima mess solenne, nell'agosto 1910, quando Padre Pio dovette rimanere a casa a Pietrelcin per motivi di salute, senza tornare al convento.

Siccome la salute di Padre Pio non migliorava, il superiore generale dei cappuccini, Padre Pacifico da Seggiano, considerò un decreto di secolarizzazione con cui Padre Pio veniva rimosso dall'Ordine dei cappuccini, e incardinato nel clero secolare di Benevento.

Padre Pio era assolutamente spaventato all'idea di essere allontanato dai cappuccini. In una visione a Venafro il 3 dicembre 1911 si era lamentato con San Francesco: "O Serafico Padre mio, tu mi scacci dal tuo Ordine? Non sono piu' figlio tuo?" (Agostino, Diario, 46) Il decreto di secolarizzazione necessitava di tanti piccoli passi, inclusa l'autorizzazione dell'arcivescovo di Benevento. Alla fine non se ne fece nulla.
24 luglio 1914, Padre Agostino a Padre Pio: "Il provinciale vuole assolutamente che ritorniate a (al convento di) Morcone." (Epistolario I, 488)
 
Nuovo Papa
Il 4 settembre 1914 succedeva a Pio X il cardinale Giacomo della Chiesa col nome di Benedetto XV
 
7 settembre 1914, Padre Pio a Padre Agostino: "Mi auguro che essendo a tutti noto il mio stato non mi si vogliano imporre ulteriori prove, superiori affatto alle mie forze." (Epistolario I, 493)
 
2 novembre 1914, Padre Agostino a Padre Pio: "...Ho voluto riparlare al provinciale del fatto vostro... egli vorrebbe che voi aveste la forza di venire a morire nel chiostro, come ogni vero figlio di san Francesco ...Io non oso di dar torto al provinciale." (Epistolario I, 499-500)
 
11 novembre 1914, Padre Pio a Padre Agostino: "Io bramo ardentemente la morte e molte preghiere e lagrime fo al Signore per tal fine." (Epistolario I, 501)
 
6 dicembre 1914, Padre Agostino a Padre Pio: "Il provinciale ha già parlato al generale del fatto tuo: gliene ho parlato anch'io. Il generale ha detto: "Giacché è la volontà di Dio, sia fatta; e noi gli otterremo il breve ad tempus, habito retento, e il buon padre pregherà sempre per l'ordine." (Epistolario I, 510-11)

Il generale è il Padre Venanzio da Lisle-en-Rigault, francese, che succede a Padre Pacifico da Seggiano il 23 maggio 1914, nel regolare capitolo elettivo tenuto a Roma dal 18 al 23 maggio 1914. Il provinciale è Padre Benedetto da San Marco in Lamis.
 
La questione ebbe una soluzione di compromesso all'inizio del 1915

 

A 28 anni: 1915

 

Permesso di risiedere fuori del convento

Il 15 febbraio 1915, Papa Benedetto XV, con un rescritto della Sacra Congregazione dei Religiosi,  diede il permesso a Padre Pio di vivere fuori del convento, conservando l'abito religioso, "fino a quando persiste la presente necessita'." (Epistolario I, 11) (Epistolario I, 538-9) (Peroni, Padre Pio, 164) (Agostino, Diario, 61-2)


Rescritto datato  25 febbraio 1915 con cui  Padre Pio e' dispensato dal risiedere in convento
   

L'angelo custode

Il 20 aprile 1915  in una lettera a Raffaelina Cerase, Padre Pio parla dell'angelo custode: 


“(L’angelo custode) dalla culla alla tomba non ci lascia mai un istante, ci guida, ci protegge. ...Di chi può temere l’anima avendo sempre con sè un sì insigne guerriero? ...Egli è ancor potente contro satana e i suoi satelliti, giammai potrà venir meno dal difenderci.

...Questo buon angelo prega per voi : offre a Dio le vostre buone opere. ...Non ci abbandona nemmeno nell’atto che diamo disgusto a Dio. ...Non dimenticate questo invisibile compagno, sempre presente ad ascoltarvi, sempre pronto a consolarvi.  ...Egli è così delicato, così sensibile. .

..Al momento della morte l’anima vostra vedrà quest’angelo sì buono che vi accompagnò lungo la vita.” (Epistolario volume 2, pagg. 403-404,




                

Immagini della Prima Guerra Mondiale


Servizio militare

La prima guerra mondiale si svolse dal 28 luglio 1914 all'11 novembre 1918. 

L'Italia entrò in guerra il 24 maggio 1915.


Lo scoppio della prima guerra mondiale gettò la provincia cappuccina di Foggia, come tutte le altre d'Italia, in un vero scompiglio, essendo stati chiamati alle armi molti religiosi.

  
Un frate cappuccino, cappellano durante la prima guerra mondiale



1° novembre 1915, Padre Pio a Padre Agostino: "Con odierno manifesto militare vengono chiamate alle armi le classi di terza categoria, 86 e 87, ed io che appartengo a quest'ultima vengo di certo compreso." (Epistolario I, 684)

1l 6 novembre 1915 Padre Pio partì da Pietrelcina per il servizio militare e si presentò al distretto militare di Benevento per compiere il suo dovere civico. (Epistolario I, 11)

Un ufficiale medico lo esaminò e disse che Padre Pio soffriva di tubercolosi. Il medico decise di mandarlo all'ospedale militare di Caserta per ulteriori accertamenti.


            
Vedute di Benevento con la stazione ferroviaria, il ponte sul fiume Calore, e l'Arco di Traiano, attraversati da Padre Pio per raggiungere la Caserma Guidoni, sede del Distretto Militare di Benevento.
 

Il 18 novembre 1915 da Caserta cosi' scriveva Padre Pio a Padre Agostino: "Sono gia' da otto giorni che mi trovo in questo ospedale, mandatovi dal mio distretto di Benevento per motivi di osservazione. Mi attendo un brutto tiro me l'attendo da questo, permettetemi l'espressione, zotico colonnello medico. Egli mi ha gia' visitato, ma la sua visita si e' ridotta a una pura formalita': da cio' che mi disse , mi lascia poco a sperare." (Epistolario I, 689)

 
         
Ospedale militare di Caserta
 

Il 4 dicembre 1915 Padre Pio, come aveva intuito, fu dichiarato idoneo al servizio militare, gli fu dato il numero di recluta #12094, e fu assegnato alla decima compagnia di sanità, situata in Napoli presso la caserma Sales.

L'ordine era di presentarsi all'Ospedale Sales della caserma della Trinità il 6 dicembre 1915

Il 5 dicembre 1915 Padre Pio scrisse a Padre Agostino, da Pietrelcina: "Domani mattina, lunedì, a Dio piacendo, partirò per Napoli, essendo stato assegnato alle decima compagnia sanitaria..."
(Epistolario I, 692)

Egli prese il treno e si presento' a Napoli il 6 dicembre 1915.

    
La stazione centrale di Napoli ai tempi di Padre Pio


Padre Pio non ricevette subito l'uniforme militare perchè il suo stato non era stato ancora chiarito e definito. Egli non poteva neanche ancora risiedere in caserma, e doveva procurarsi da sè vitto e alloggio al difuori dell'area militare in attesa di visite mediche e conseguenti disposizioni.

   

La caserma Sales dopo la guerra fu abbandonata e gli edifici furono ristrutturati come scuola Giambattista Vico



8 dicembre 1915: visita medica
Lettera di Padre Pio a Padre Agostino il 14 dicembre 1915: "La visita che chiesi , mi venne accordata il giorno dell'Immacolata. Questa fu fatta dal signor comandante della compagnia, il quale è un semplice tenente. Egli compassionò il mio povero stato e poichè non poteva farmi nulla mi rimise al signor capitano e questi, essendo occupatissimo, mi sta trasportando di giorno in giorno e fino al presente non ancora vengo visitato, e chi sa quant'altro tempo se ne passerà.
(Epistolario I, 696)

17 dicembre 1915: visita medica collegiale
"Deo gratias. Poc'anzi ho subito ho subito la visita collegiale e mi è stato accordato un anno di convalescenza, a causa della riconosciuta malattia: infiltrazione ai polmoni.
(Epistolario I, 699)

Pensione Valillo
A Napoli non ricevette alloggio presso la caserma perche' il suo stato militare non era stato ancora definito. Padre Pio stette presso la pensione della signora Maria Valillo, una compaesana di Pietrelcina,in via Cappuccinelle 18.

E fu durante i 10 giorni trascorsi a Napoli che Padre Pio cercò raccomandazioni per essere esonerato dal servizio militare. Scrisse ad una sua figlia spirituale di Foggia, la nobildonna Raffaelina Cerase, la quale presentò il caso ad un’altra nobildonna, Giuseppina Morgera, residente a Napoli.
 
Giuseppina Morgera
Giuseppina, il 17 dicembre 1915, lo cercò nella pensione dove alloggiava, ma non lo trovò. Il giorno dopo, il 18 dicembre, Padre Pio, dimesso dall’Ospedale e rientrato in pensione, trovò un messaggio di Giuseppina con l’indicazione del suo recapito. Acquistato il biglietto per Pietrelcina, prima di partire volle farle visita. Riuscì a trovarla presso una zia di lei.

Giuseppina Morgera divenne figlia spirituale di Padre Pio. Anni dopo, circa quaranta lettere scritte dal Padre a Giuseppina saranno ritrovate e raccolte in un libro intitolato Dolcissimo Iddio5.

Subito dopo la visita a Giuseppina, Padre Pio prese il treno e la sera del 18 dicembre giunse a Pietrelcina.

Il 20 dicembre 1915, così scrisse a padre Agostino: «Ringraziamo questo sì tenero Padre per il buon esito della visita; ringraziamolo pure per la grande degnazione di non aver permesso che il suo servo venisse vestito della divisa militare, dopo che egli fosse iscritto da circa due mesi nella milizia».
(Epistolario I, 702)
   
La sede della decima compagnia di sanità, la caserma Sales in Napoli, e' oggi l'edificio scolastico ristrutturato Giambattista Vico.
     La Stazione Centrale dei treni in Napoli ai tempi di Padre Pio.
 
 
 

 

A 29 anni: 1916
 

Da Pietrelcina a Foggia

1° gannaio 1916, lettera di Padre Agostino a Padre Pio: "Quanto sarei felice se tu mi facessi sapere al più presto che Gesù veramente ti vuole nel chiostro! Dunque, quando mi scriverai questa espressione: padre mio, venite a prendermi....! " (Epistolario I, 710)

Padre Benedetto e Padre Agostino volevano che Padre Pio lasciasse Pietrelcina e ritornasse in convento.

L'occasione fu offerta ai Padri da Raffaelina Cerase, una nobildonna di Foggia che soffriva di tumore terminale. Lei aveva sentito parlare di Padre Pio e voleva che lui andasse a confessarla e confortarla. Padre Agostino inoltrò la richiesta a Padre Pio e Padre Pio accettò' rispondendo che sarebbe andato a Foggia il prima possibile.

Il 17 febbraio 1916, partito la mattina da Pietrelcina, Padre Pio arriva al convento di Sant'Anna in Foggia convinto che si tratti d'un semplice viaggio di andata e ritorno; ma a Pietrelcina non torna più i modo stabile.
Padre Benedetto gli fece capire che di ritorno non si sarebbe più parlato e gli ingiunse di stare nel convento di Sant'Anna a Foggia. (Epistolario I, 741)

Il 18 febbraio 1916 visita per la prima volta l'inferma nobildonna Raffaelina Cerase, che poi morirà il 15 marzo. (Epistolario I, 12)

Padre Pio stette al convento dei cappuccini in Foggia e visito' Raffaelina tutti i giorni, celebrando la messa nella cappella privata e poi parlando con la malata, fino alla morte di lei il 25 marzo 1916.


Padre Pio si trovava nel convento cappuccino di Foggia. Egli visitava ogni giorno una sua figlia spirituale, la nobildonna Raffaelina Cerase, celebrando la messa a casa sua.

Nel marzo 1916 la paziente si aggravò. La sera del 24 Padre Pio andò a visitare l’ammalata con il superiore del convento Padre Nazareno da Arpaise. Nel congedarsi da lei, Padre Nazareno le diede l’assoluzione in articulo mortis, poi entrambi tornarono al convento.

Padre Nazareno fu svegliato alle 4 di mattina da un uomo che gli annunciò la morte di Raffaelina. Padre Nazareno andò allora a svegliare Padre Pio per dargli la notizia.

Padre Pio, senza agitarsi gli rispose: “L’ho assistita io. E’ andata direttamente in Paradiso.” (Yves Chiron,  Padre Pio Una strada di misericordia, Paoline Editoriale Libri, Torino, seconda edizione 1999, pagg. 88-9. L’opera originale in francese fu pubblicata nel 1994)







A quel punto Padre Pio incomincio' a pensare di tornare a Pietrelcina, ma Padre Benedetto, il provinciale disse a Padre Pio: "Vivo o morto tu stai qui a Foggia."



A Foggia violenta detonazione

Nel 1916 Padre Pio si trovava nel convento di Foggia.

Una sera, chiese se poteva ritirarsi nella sua cella. Venne accontentato. Gli altri confratelli rimasero a mangiare nel refettorio. La cella di Padre Pio era situata al primo piano, proprio sopra il refettorio.

I religiosi, mentre cenavano, vennero sorpresi e terrorizzati da una violenta detonazione. Scrisse padre Nazareno nei suoi Appunti: «...mandai Padre Francesco da Torremaggiore alla stanza di Padre Pio, immaginando che Piuccio, avendo bisogno di qualche cosa ed avendo chiamato invano, avesse lanciato una sedia in mezzo alla stanza per essere inteso. Il fratello andò su e domandò di che cosa avesse bisogno, ma Padre Pio rispose: “Non ho chiamato né ho bisogno di niente”...».

Lo stesso avvenne anche le sere successive. «...Bisogna premettere che, dopo la detonazione..., si trovava Padre Pio in un bagno di sudore e dovevamo cambiarlo da capo a piedi... Dinanzi a queste detonazioni - racconta padre Nazareno - i frati si erano talmente impauriti che non volevano restare mai soli ed appena dopo la ricreazione ognuno si ritirava nella stanza e si chiudeva ermeticamente». (Emanuele Giannuzzo, San Pio da Pietrelcina, Il travagliato percorso della sua vita terrena. Book sprint edizioni, Romagnano al Monte (Salerno) 2012, pag. 97)

 

 

Padre Nazareno d'Arpaise      Mons. Andrea D'Agostino

Mons. D’Agostino scappa via

Fra i testimoni di tali fenomeni vi fu mons. Andrea D’Agostino, vescovo di Ariano Irpino.

Al riguardo, sempre negli Appunti di Padre Nazareno, si legge: «Si trovò di passaggio una sera Monsignore D’Agostino, vescovo di Ariano Irpino, al quale credetti bene di raccontare quanto avveniva in convento, e lui: “Padre guardiano, il Medio Evo è finito e voi credete ancora a queste panzane?».

Quando però nel refettorio si sentì, dopo un calpestio, la solita detonazione, «il domestico del Vescovo, che mangiava in foresteria, scappò al refettorio con i capelli ritti e pieno di paura. Il Vescovo rimase così impaurito che quella sera non volle dormire solo ed il giorno seguente lasciò il convento e più non ritornò» (Emanuele Giannuzzo, San Pio da Pietrelcina, Il travagliato percorso della sua vita terrena. Book sprint edizioni, Romagnano al Monte (Salerno) 2012, pag.99)




         
Il convento di Sant'Anna, dei cappuccini di Foggia, e la cella di Padre Pio.


                  
Chiesa di Sant'Anna e reliquie di Padre Pio



La nobildonna Raffaelina Cerase

 
 
 
 
Da Foggia a San Giovanni Rotondo

Nell'estate del 1916, Rachelina Russo, che aveva un negozio a San Giovanni Rotondo, andò a Foggia perchè aveva sentito parlare di Padre Pio e voleva incontrarlo.
Rachelina parlò con Padre Pio e poi gli suggerì di trasferirsi a San Giovanni Rotondo dove c'era un'aria di collina meno torrida che a Foggia.
 
Padre Pio le disse di no perchè aveva sentito dire che a San Giovanni Rotondo erano tutti banditi. Al che Rachelina rispose: "Voi dovete venire proprio perche' siamo banditi. Dovete venire a convertirci".

   Rachelina Russo


Il 28 luglio 1916 Padre Pio sale per una permanenza di pochi giorni al convento di San Giovanni Rotondo per sperimentare se quel clima gli era favorevole.

Ai primi di settembre 1916 il provinciale Padre Benedetto permise a Padre Pio di trasferirsi "provvisoriamente" a San Giovanni Rotondo. Il "provvisorio" divenne "definitivo" e Padre Pio rimase a San Giovanni Rotondo fino alla morte: cinquantadue anni continui. (Epistolario I, 12)




4 settembre 1916: Cella #5

        
                          

 Quando Padre Pio ando' ad abitare al convento di San Giovanni Rotondo, gli fu assegnata la cella #5. La stanza e' molto piccola. Sulla destra c'e' il letto, con un Crocifisso sul muro, un comodino, una cassapanca per effetti personali, due sedie e un cassettone. La cella al presente non e' aperta ai normali visitatori.

  Su questa scrivania ha scritto le lettere dal 1916 al 1922. All'inizio non c'era luce elettrica. Venne molto dopo. I fili elettrici sono inchiodati da fuori sul muro.

Zona letto della cella 5. L'elettricità venne molto dopo.


  Nella cella #5 avvenne l'episodio della Transverberazione nel 1918.

L'inquisitore apostolico Mons. Raffaello Rossi ispeziono' la cella di Padre Pio nel 1921 e scrisse che Padre Pio era un po' disordinato. "Nella sua cella i diversi cassetti sono un po' disordinati: pezzi di carta, guanti, chinino, caramelle per i ragazzi, immaginette, tutto piuttosto confuso." (Castelli, Investigation, 95



La piccola chiesa del convento

Giunto a San Giovanni Rotondo Padre Pio celebrava la messa nella chiesetta dedicata alla Madonna delle Grazie.

La chiesette era stata consacrata secoli prima, il 6 luglio 1676.

Esterno:

Interno:    

Sacrestia:       

Coro:  


Quando Padre Pio celebrava, la chiesa era affollata, anche se erano le quattro del mattino, con pioggia o neve, vento, tormenta:        






Il letto sottosopra e la sbarra contorta

 

Padre Aurelio di Jorio da Sant'Elia a Pianisi fu studente nel Collegetto Serafico del convento di San Giovanni Rotondo negli anni 1916-8, quando era diretto da Padre Pio.

Dopo la morte di Padre Pio Padre Aurelio ebbe una conversazione con Padre John Schug, un frate cappuccino americano.

Tra tanti dettagli, padre Aurelio riportò:

"Il dormitorio che era usato da otto di noi studenti adesso è adibito ad archivio. Padre Pio dormiva con noi in questo dormitorio. Il suo letto era vicino alla finestra. Intorno al suo letto c'era una tenda sostenuta da una pesante sbarra di ferro.  Se tu avessi potuto vedere ciò che successe una notte! Noi ragazzi stavamo sempre a chiacchierare nel dormitorio.

Una notte ci disse: "Non mi fate sfigurare con padre superiore che mi deve dire di nuovo di farvi star zitti. Non fatemi fare una brutta figura. Non dite una sola parola. Buona notte!"

 

Al mattino quando ci alzammo vedemmo che il letto di Padre Pio era stato completamente messo sotto sopra, e la sbarra di ferro della tenda era tutta contorta come se fosse una cioccha di capelli ricci. La sbarra era spessa come un dito, ma per tutta la sua lunghezza era tutta contorta. Noi avemmo veramente paura. Padre Pio venne, e noi chi domandammo che era successo.

 

Egli disse: "è incredibile. Quando io finalmente otteni da voi la promessa di stare zitti, viene barbablù (così Padre Pio chiamava il diavolo) e mette tutto a soqquadro." Egli aggiunse: "Credetemi, questo è niente. Non ne facciamo un caso." Egli disse che uno dei lavoratori aveva contorto la sbarra di ferro. Più tardi la sbarra fu raddrizzata e rimessa al suo posto." (Schug, 115-7)

 

 

 

Vincenzo Fini

"Mastro Vincenzo Fini, calzolaio e fabbro, uomo di fiducia del convento, ormai assuefatto a questo tipo di riparazione, cerca di rimettere al meglio il letto sulle quattro zampe. (Peroni, 205).

 

Risulta che mastro Vincenzo , oltre che calzolaio e fabbro, faceva un po' di tutti i mestieri. Per Padre Pio faceva anche "l'aggiustatore di ossa" .

Ogni volta che Padre Pio usciva dalla lotta con il demonio con le ossa slogate o fratturate voleva essere "aggiustato" da mastro Vincenzo.

 

Pietro Cugino, detto Pietruccio il cieco, ricorda che Vincenzo, prima di andarsene, dopo aver baciato la mano del padre,  gli sussurrava: "Eh! Te l'ha fatta stanotte, te l'ha fatta!" (Peroni, p.212-3, nota 7)

 

      

 

Vincenzo Fini

 

Foto di gruppo del Collegio Serafico nel 1914 (Padre Pio ne fu direttore dal 1916 al 1918)

 

 

 

I diavoli nella cella #5

Padre Alberto: "Io e gli altri miei compagni di seminario, siamo stai testimoni di quanto accadeva nella cameretta #5, allorchè Padre Pio, notte tempo, veniva attaccato spietatamente dagli spiriti maligni, che gli apparivano visibilmente, sotto tetre figure, e lo bastonavano a sangue. Spesso noi fratini venivamo svegliati di soprassalto da rumori di catene, stridori di ferraglie, gridi e gemiti provenienti dalla sua cella, poco distante dalle due piccole camerate. Uno di noi disse a Padre Pio: "Padre, io non ho paura del demonio; lo mandi da me e lo metterò subito in fuga." Padre Pio: "Tu non sai ciò che dici. Se tu vedessi il demonio, moriresti di spavento." (D'Apolito, Padre, 69-70)

 


    Padre Alberto D'Apolito


Il cardellino di «Marocchino»

Marocchino era il soprannome di un aspirante cappuccino che viveva nel convento di S. Giovanni Rotondo, quando Padre Pio era là come padre spirituale. Questo giovane aveva una spiccata tendenza alle arti e alle cose della natura.

Un giorno un cardellino venne a svolazzare da un albero nel corridoio che separava il refettorio dei frati. Marocchino lo vide ed ebbe subito voglia di prenderlo per metterlo in gabbia e tenerselo. Allora si mise a rincorrerlo, ma non riusciva mai ad afferrarlo, perché l'uccello andava di qua e di là con sbalzi continui.

Alla fine andò a cacciarsi in uno spazio che si trovava tra un muro e la cucina. Marocchino corse per prenderlo, ma in quel momento suonò il segnale della preghiera e dovette lasciare là l'uccello per andare in chiesa. Quivi, però, anziché pregare, non fece altro che i progetti per prendere il cardellino, fare la gabbia, trovare il luogo dove tenerlo e tante altre cose.

Finito il tempo della preghiera passò in refettorio per la cena, ma anche durante questa non fece altro che pensare al cardellino. Uscito dal refettorio voleva andare a prenderlo, ma Padre Pio che lo aveva seguito tanto in chiesa come a refettorio, lo fermò e gli fece cenno di andare da lui; poi gli disse: «Ma quel cardellino ti ha fatto perdere la testa...» e gli elencò uno per uno tutti i pensieri che gli erano passati per la testa durante la preghiera in chiesa e poi anche durante la cena.

 

Marocchino, divenuto più tardi Padre Vittore da Canosa , confidò al Padre Costantino Capobianco: «Quando sentii Padre Pio rivelarmi i pensieri uno per uno, con una precisione, esattezza e completezza sconcertanti, io stetti a capo basso come uno che si ripara alla men peggio da un uragano che gli sta passando sul capo». (Padre Costantino Capobianco, Detti e aneddoti di Padre Pio, Edizioni Padre Pio, San giovanni Rotondo, seconda edizione 2006, pag. 35-6)


Padre Vittorio da Canosa        Padre Costantino Capobianco


5 ottobre 1916

Pasqualino Campanile è lassù. Pasqualino Campanile morì in guerra il 26 settembre 1916. Sua madre mandò un giorno la figlia Nina Campanile insieme con la sua maestra Vittorina Ventrella da Padre Pio, il 5 ottobre di quell’anno, per chiedergli se Pasqualino era salvo. Padre Pio disse: "Sì, è salvo ed ha bisogno di preghiere."

La notte di Natale 1918 Nina chiese di nuovo a Padre Pio dov'era suo fratello. Padre Pio rispose: "E' lassù." (Padre Alessio Parente, Padre Pio e le anime del purgatorio, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo, 2011, pag. 151-6)




Un albero immenso

Lucia Fiorentino, di San Giovanni Rotondo, incontro' Padre Pio al convento nel 1916, e divenne sua figlia spirituale.

Per anni Lucia aveva tenuto un diario scritto su tanti quaderni.

Dieci anni prima nel 1906 aveva scritto nel suo diario di aver visto un albero immenso nel convento dei cappuccini, e di aver sentito udire una voce dirle che l'ombra di quell'albero avrebbe coperto tutto il mondo. (Epistolario III, 469-71)

Lucia Fiorentino
 
 


Ospedale Militare della Trinità in Napoli

Il 28 novembre 1916, dopo soli 3 mesi dal suo arrivo a San Giovanni Rotondo, stava per scadere l’anno di convalescenza che il 18 dicembre 1915 gli era stato concesso perché affetto da «infiltrazione ai polmoni», e Padre Pio si recò a Pietrelcina e lì aspettò il giorno della partenza per Napoli.

Agitato, scrisse ai suoi direttori spirituali. Ma, sperando di essere esonerato, nel post scriptum di una lettera dell’11 dicembre inviata alle sorelle Ventrella chiese anche un’autorevole raccomandazione: «Avrei sommamente a cuore che mi inviaste un biglietto di raccomandazione da poterlo presentare, se Gesù vorrà, quando andrò a Napoli, al professore Mauro Serrano da voi indicatomi».
(Epistolario III,  552-3)

Infatti il 16 dicembre 1916, giunto a Napoli, si recò subito dal prof. Serrano, che lo accolse «con affetto più che paterno».
(Epistolario III, 596)

A Napoli prese alloggio per due giorni in una pensione di una sua compaesana, Carolina Montanile. La pensione era situata al numero 30 di Via SS. Cosma e Damiano.
  
Targa ricordo sull'ingresso del palazzo al numero 30 di Via ss. Cosma e Damiano.
Padre Pio vi soggiornò dal 16 al 20 dicembre 1916



Visite mediche

Il 18 dicembre 1916 si presentò presso il Corpo Militare di appartenenza. Sottoposto ad una prima visita medica, fu confermata la diagnosi dell’anno precedente ed inviato al Reparto di osservazione.

Qui, il 21 dicembre, sottoposto ad una seconda visita medica, venne trasferito presso l’Ospedale militare della Trinità, dove trascorse un Natale mai dimenticato.

Il 26 dicembre così scrisse a Vittorina Ventrella: «Due visite ho passato in questi giorni e tutte e due le volte sono stato riconosciuto ammalato. Sto in attesa di una terza visita e a dirvi il vero dubito in questa di esservi riconosciuto. Mi sento malissimo. Sia fatta la volontà di Dio».
(Epistolario III, 597)


Sei mesi di convalescenza

Il 30 dicembre, dopo una terza ed ultima visita medica, nonostante la gravità della malattia diagnosticata, gli accordarono solo sei mesi di convalescenza, con l'istruzione di attendere ulteriori ordini.

Venne dimesso la sera del 2 gennaio 1917.
 
             
L'Ospedale Militare della Trinità in Napoli ai tempi di Padre Pio

   
L'altare dopo Padre Pio celebrò la Messa il giorno di Natale 1916
 

 

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